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Con la sentenza n. 18574 dello scorso 19 giugno, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna inflitta ad un uomo per aver avuto rapporti sessuali con una minorenne, figlia della convivente, rigettando le difese dell'uomo secondo cui non si era raggiunta prova della sua colpevolezza, essendosi la sentenza di condanna fondata solo sulle dichiarazioni della minore.

Si è difatti specificato che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei delitti di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale ai danni della figlia minore della propria compagna.

In particolare l'imputato, convivendo con la compagna e con la figlia che quest'ultima aveva avuto da una precedente relazione, era solito appartarsi nel bagno con la minore con la pretesa di farle la doccia; frequentemente la sottoponeva a ingiurie e umiliazioni e percosse, vietandole di andare a scuola o di frequentare le amiche o anche di uscire di casa da sola; talune volte le aveva anche cancellato i numeri di telefono delle amiche, per evitare contatti.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Verona che la Corte di appello di Venezia condannavano l'imputato alla pena di giustizia. 

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell' imputato eccepiva illogicità della motivazione, per aver la Corte di appello ritenuto provata la condotta contestata di violenza sessuale sebbene nessun testimone diretto fosse stato sentito: la prova era stata raggiunta solo da testimoni de relato e in base alle dichiarazioni della minore, da ritenersi – secondo l'imputato – non genuine, per essere la stessa stata sentita più volte prima dell'incidente probatorio.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.

La Corte premette che in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. 

In particolare, le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come l'analisi della decisione impugnata (conforme a quella di primo grado) è precisa, puntuale e rigorosa nell'affrontare l'attendibilità della minore e nel valutare tutti gli aspetti della vicenda: con motivazione più che adeguata si è evidenziato come la ragazza è stata sempre sentita da personale esperto e, quindi, nessuna contaminazione o suggestione, è stata effettuata; del resto, le sue dichiarazioni iniziali sono state spontanee, il suo racconto è stato sempre lineare e dettagliato, pieno di particolari e, del resto, riscontrato con le dichiarazioni dei suoi fratelli.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.