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Con la recente sentenza n. 10657 dello scorso 11 marzo, la V sezione penale della Corte di Cassazione – chiamata a vagliare l'istanza di un uomo soggetto alla misura degli arresti domiciliari con divieto di comunicare con persone diverse da quelle con lui conviventi – gli ha inibito di ricevere, presso il luogo di detenzione, le visite della fidanzata, al fine di intrattenere con questa una relazione affettiva e sessuale.

Si è difatti specificato che ove sia imposto il presidio di maggior rigore di cui all'art. 284, comma 2, c.p.p., il difetto di espressa previsione di un'autorizzazione concedibile al cautelato domiciliare di coltivate la propria affettività con persona diversa dai propri conviventi, deve essere interpretata come sintomo della volontà legislativa di escludere che tale preteso diritto sia bilanciabile con le esigenze cautelari sottese alla restrizione preventiva della libertà personale.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'emanazione di una sentenza penale di condanna, con doppia conforme sentenza di merito, per i reati di associazione per delinquere e furto aggravato; l'imputato veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con la prescrizione aggiuntiva del divieto di comunicare con persone diverse da quelle con lui conviventi.

La Corte di appello di Trieste, con ordinanza, negava l'autorizzazione richiesta dal cautelato di ricevere, presso il luogo di detenzione, le visite della fidanzata, al fine di intrattenere con questa una relazione affettiva e sessuale. 

 Avverso la decisione l'uomo proponeva appello al Tribunale del Riesame di Trieste che, tuttavia, respingeva il gravame confermando la misura restrittiva adottata.

L'uomo proponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di sussistenza delle esigenze cautelari.

Il ricorrente evidenziava come il Tribunale del Riesame non aveva colto il senso del motivo di gravame, posto che l'oggetto del devolutum era riferito alla correttezza della decisione della Corte territoriale di privare ad libitum il soggetto ristretto del diritto di coltivare rapporti affettivi ed intimi; tale profilo - raccomandato da fonti internazionali vincolanti per l'ordinamento interno - non apportava, quindi, eventuali elementi di novità sul piano cautelare, come, invece, erroneamente ritenuto dal Tribunale giuliano.

La Cassazione non condivide le tesi difensive dell'imputato.

L'art. 284, secondo comma, c.p.p. prevede che, quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono: tale disposizione vuole regolare le forme di esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari e conformarne il concreto regime modale, attraverso limiti o divieti per l'imputato di comunicare con persone estranee al nucleo dei suoi familiari coabitanti ovvero con persone che stabilmente lo assistano.

La misura si giustifica in riferimento alla riconosciuta esistenza di peculiari esigenze cautelari, sia di natura endoprocessuale che di prevenzione sociale, volte a scongiurare il pericolo di commissione di ulteriori reati della stessa specie di quelli ascritti al soggetto in stato di custodia domiciliare.

In tale ottica, non esiste un'autonoma rilevanza del diritto del cautelato a coltivare relazioni affettive: gli artt. 15 e 28 della legge di ordinamento penitenziario – che, in attuazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 27, comma 3, e 29 Cost., sono volte a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie – non sono applicabili nella diversa materia delle misure cautelari personali, posto che queste rispondono a finalità e a modalità attuative diverse rispetto a quelle che informano l'esecuzione della pena.

Ne deriva che, ove sia imposto il presidio di maggior rigore di cui all'art. 284, comma 2, c.p.p., il difetto di espressa previsione di un'autorizzazione concedibile al cautelato domiciliare di coltivare la propria affettività con persona diversa dai propri conviventi, deve essere interpretata come sintomo della volontà legislativa di escludere che tale preteso diritto sia bilanciabile con le esigenze cautelari sottese alla restrizione preventiva della libertà personale.

Diventa dirimente, allora, valutare se sussistono elementi di novità suscettibili di modificare in senso favorevole all'imputato la piattaforma cautelare: questi soli elementi, infatti, possono giustificare un'attenuazione delle ragioni di maggior rigore sottese al provvedimento del divieto di incontro con persone estranee alla cerchia dei conviventi, aggiunto all'ordinaria misura degli arresti domiciliari.

Con specifico riferimento al caso di specie – contraddistinto da un grave quadro cautelare a carico di un imputato condannato per reati gravi e non privo di precedenti penali specifici – nessun elemento di novità era intervenuto ad incidere in senso favorevole la piattaforma cautelare, dovendo certamente escludersi che le esigenze cautelari potessero essersi affievolirsi per il mero decorso del tempo di esecuzione della misura, pur se accompagnato dalla corretta osservanza dei relativi obblighi

In virtù di tanto, la Cassazione, condividendo le valutazioni compiute dal Tribunale del Riesame, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.