Adozioni: sì allo stato di adottabilità se la mamma è violenta e aggressiva

Con la sentenza n. 1473 depositata lo scorso 25 gennaio, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha confermato lo stato di adottabilità di un minore per i comportamenti aggressivi e violenti della madre, che erano rimasti profondamente radicati nella psiche della figlia, tanto da indurla a distruggere la foto della mamma e a dichiarare di non volerne più sapere di quella "mamma cattiva".

Si è difatti precisato che lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso proposto dalla Procura della Repubblica affinché fosse dichiarato lo stato di adottabilità di una bambina.

L'istanza traeva origine dal comportamento della mamma, che aveva sottoposto la figlia ad un autentico pestaggio effettuato "con inaudita ferocia", durato ben trenta minuti e che aveva comportato il ricovero della bambina in codice rosso "per compromissione delle funzioni vitali".

 Alla luce di tanto, il Tribunale dei minori di Roma dichiarava lo stato di adottabilità del minore. La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, avendo la stessa accertato lo stato di abbandono della minore, attesa la gravità dei maltrattamenti ai quali la piccola risultava essere stata sottoposta nel tempo ed il radicato rifiuto della medesima di incontrare la madre, a causa delle conseguenze gravemente traumatiche prodottesi nella sua psiche a cagione dei gravissimi maltrattamenti.

Avverso la decisione, proponeva ricorso per Cassazione la mamma della bambina, deducendo la violazione dell'articolo 8 della legge 184/1983, nella parte in cui esclude che possa dichiararsi lo stato di abbandono di un minore, qualora la mancanza di assistenza "sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio".

In particolare, la donna si lamentava della circostanza per cui i giudici avevano fondato la decisione esclusivamente su di un episodio che, per la sua gravità, era stato assunto come indice sintomatico di un definitivo venir meno della capacità genitoriale; secondo la mamma, invece, l'isolatezza del fatto, seppure di estrema gravità, non sarebbe stato sufficiente alla dichiarazione dello stato di adottabilità della bimba.

 La Cassazione non condivide la posizione della ricorrente.

La Corte premette che lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito.

Ciò chiarito, con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la Corte territoriale abbia ampiamente motivato la sua scelta di confermare lo stato di adottabilità, sulla scorta delle ampie indagini in fatto effettuate: da tale indagine, era emerso come la madre era spesso aggressiva verso la figlia, in quanto i medici del Pronto Soccorso – dalle lesioni riportate dalla piccola – erano giunti alla conclusione per cui i comportamenti aggressivi e violenti della madre fossero abituali e protratti nel tempo.

Ad aggravare il quadro già seriamente compromesso, vi era stato l'episodio del pestaggio, ritenuto di una gravità eccezionale, avendo la madre utilizzato anche oggetti contundenti, che avevano provocato alla piccola gravissime lesioni, con prognosi riservata superiore a quaranta giorni, per "compromissione delle funzioni vitali".

Inoltre, quell'episodio, lungi dall'essere stato rimosso dalla bambina, era rimasto profondamente radicato nella sua psiche, tanto da indurla a distruggere la foto della mamma e a dichiarare - anche a distanza di tempo - di non volerne più sapere di quella "mamma cattiva".

Da ultimo, gli Ermellini evidenziano come correttamente i giudici di merito abbiano dato peso al comportamento della mamma, che non aveva mostrato pentimento e ravvedimento, rifiutandosi persino di chiamare immediatamente i soccorsi, il giorno dopo il pestaggio, perché "non voleva altri guai", stante la pendenza di altro procedimento penale nei suoi confronti.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.