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Con l'ordinanza n. 26981 dello scorso 24 ottobre, la II sezione civile della Cassazione, pronunciandosi sulla natura di un acquisto fatto da uno dei coniugi utilizzando denaro di provenienza non tracciabile ha ritenuto che, nonostante la dichiarazione resa dall'altro coniuge circa la provenienza del denaro dal patrimonio personale dell'uomo, il suddetto acquisto dovesse rientrare nella comunione ordinaria dei coniugi, specificando che l'art. 179, co. 2, lett. f) nell'attribuire la natura di beni personali ai "beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio", non annovera fra i beni sopraelencati, cioè quelli specificati alle lett. a)-e), il denaro contante che si trovi nella disponibilità del coniuge acquirente, senza che dello stesso possa tracciarsene la provenienza.

Un marito, in regime di comunione legale dei beni, acquistava un immobile e, per evitare che l'appartamento rientrasse nella comunione legale, la moglie rendeva la dichiarazione di cui alla lettera f) dell'art. 179 c.c., riconoscendo come il suddetto immobile facesse parte del patrimonio personale del marito perché, come era stato dichiarato dalla stessa donna nell'atto notarile di vendita, "i denari occorsi per l'acquisto provengono dal proprio ( n.d.r. del marito) patrimonio personale".

Successivamente la donna proponeva una autonoma azione di accertamento della comunione legale, affinché, nonostante la dichiarazione resa, quell'immobile rientrasse nella comunione legale dei beni.

Sia il Tribunale di Roma che la Corte d'appello di Roma escludevano che siffatto acquisto dovesse rientrare nel patrimonio personale del coniuge e, pertanto, dichiaravano la donna comproprietaria dell'immobile de quo. 

In particolare i giudici di merito – richiamata la consolidata giurisprudenza in materia, secondo cui la circostanza che il coniuge non acquirente renda la dichiarazione di cui al comma 2, lett. f) dell'art. 179, cod. civ., presuppone l'effettiva natura personale del bene, con la conseguenza che, ove non sussista nessuna delle cause di esclusione dalla comunione, ciò potrà essere conclamato in una successiva causa di accertamento negativo – evidenziavano come, nel caso di specie, la donna con l'espressione raccolta nell'atto pubblico non avesse specificato, così come richiede lo stesso articolo 179 c.c., quale fosse il bene personale del marito (tra quelli indicati nelle lettere a), b), c), d) ed e) dell'art. 179 c.c.) dalla cui vendita aveva tratto origine la provvista utilizzata per l'acquisto, esclusivo, dell'immobile.

Ricorrendo in Cassazione, il marito denunciava violazione e/o falsa applicazione dell'art. 179, c.c. rilevando, in punto di diritto, come la Cassazione (sentenza 10885/2010) avesse affermato che, nel caso in cui risulti obiettivamente certa la personalità di quanto trasferito a titolo di corrispettivo, non sia necessario, per il coniuge non acquirente, rendere la dichiarazione circa la natura personale del denaro impiegato per l'acquisto.

In ogni caso, anche a voler ritenere necessaria siffatta dichiarazione, il ricorrente evidenziava che la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente ai sensi della lettera f) dell'art. 179 è un mero atto ricognitivo o confessorio, privo di natura negoziale, con efficacia iuris et de iure di esclusione della contitolarità dell'acquisto e, quindi, rimovibile solo per errore di fatto; sul punto la difesa del marito rilevava che nessun errore potrebbe sorgere sulla qualificazione del denaro che si trovi nella disponibilità del coniuge da prima del matrimonio, il quale deve considerarsi bene personale agli affetti di cui alla lett. f) dell'art. 179, c.c..

La Cassazione non condivide la ricostruzione operata dall'uomo. 

 Richiamata la nota sentenza 22755/2009 nella quale le Sezioni Unite della Cassazione hanno attribuito natura meramente ricognitiva alla dichiarazione del coniuge volta a determinare l'esclusione dalla comunione legale del bene acquistato con il ricavato dall'alienazione di un bene personale, la sentenza in commento evidenzia come l'esclusione dalla comunione deriva non dalla dichiarazione resa dal coniuge non acquirente ma, piuttosto, dalla natura effettivamente personale del bene dalla cui vendita si è proceduto al nuovo acquisto, giacché l'intervento adesivo del coniuge non acquirente è richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione.

Ciò posto, gli Ermellini evidenziano che, nel caso di specie, la dichiarazione del coniuge non conferma un fatto riscontrabile (quale può essere l'utilizzo di denaro proveniente dalla vendita di determinati beni personali) tale da assegnare alla stessa natura confessoria: la donna, infatti, dichiarando il denaro utilizzato era personale, ha reso un mero generico asserto qualificatorio che è al di fuori della dichiarazione a scopo confessorio, in quanto "definire sic et simpliciter personale il denaro con cui si è adempiuta l'obbligazione del prezzo non identifica un fatto, bensì esprime una qualificazione giuridica, insuscettibile di confessione e non vincolante per l'interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante" (Cass.n. 18114/2010).

In relazione alla portata della lettera f) dell'art. 179 c.c., laddove si attribuisce la natura di beni personali ai "beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio", la sentenza in commento chiarisce che il riferimento ai beni sopraelencati (cioè quelli specificati alle lett. a)-e)), non consente di annoverare fra gli stessi il denaro contante di cui non è possibile tracciarne la provenienza e che si trovi nella disponibilità del coniuge acquirente: la norma, infatti, parla, di scambio proprio perché la provenienza del bene deve essere, per legge, derivante dalla vendita o dalla permuta di un bene personale.

Il ricorso viene quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.