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 Ho letto con attenzione l'articolo che Repubblica ha dedicato negli scorsi giorni alla questione calda di 500 abogados italiani (o meglio, aspiranti) e la lettera accorata e appassionata di un ragazzo abogado.

Vorrei dire una cosa.
Questa categoria degli abogados e degli avvocati mi sembra una querelle tipo guelfi e ghibellini.
Noi siamo migliori e voi peggiori.
Quando si sosteneva ancora l'esame da procuratore legale, avevo decine di colleghi aspiranti che migravano, anzi sciamavano in Meridione.
Diciamo che per me gli abogados di oggi sono niente di più e niente di meno di tanti miei colleghi che oggi fanno i fighi (gli avvocati fighetti) ma l'abilitazione l'hanno strappata giù.
Ci tengo a precisare che mia moglie è calabrese (l'abilitazione l'ho presa in quel di Genova). Tanto per dirvi che non posso essere tacciato di razzismo ma questo è un altro paio di maniche.
No, il succo del discorso, è la latente e subliminale discriminazione che ciascuno di noi – avvocato abilitato in Italia – serba dentro di sé nei confronti degli abogados.
Ciascuno di noi la dissimula con eleganza ma la nutre.
Guardate, niente di più sbagliato.
Allora, prima di tutto va detto che esiste l'avvocato fighetto e quello attivista.
Non c'è una terza via.
L'uno o l'altro possono aver conseguito l'abilitazione anche nel Camerun ma non cambia nulla.
La preparazione nostra non ha funzionato di più se l'abilitazione ci è stata elargita in patria.
Diciamo che – come per tutti gli scrittori di successo – la componente fondamentale resta la Fortuna (lo diceva anche De Crescenzo).
Perciò ho fatto il tutor o l'avvocato controllore(non mi ricorda come si dice) di un avvocato stabilito e l'ho fatto con piacere.
Se penso che un mio collega carissimo – dal quale mi farei difendere – dovette ad un certo punto optare per la soluzione drastica e umiliante della Spagna (alla quale poi non ricorse perchè graziato dall'ultimo scritto), mi incazzo di brutto.
Non sono gli abogados i nostri antagonisti né tantomeno la preparazione che essi hanno è meno capillare o meno profonda della nostra.
Gli abogados – stante il meccanismo per cui si agguanta il titolo più velocemente e più facilmente in Spagna – sono il portato naturale di un sistema profondamente mortificante che vige in Italia.
Tutto qui.
La cosa che mi indigna non è la rabbia mediatica montante e montata dai giornalisti nei confronti di un fenomeno del genere.
Quello che mi fa incazzare sono i soldi (ecco perchè dico che si tratta di una soluzione umiliante) che questi ragazzi devono esborsare in Spagna.
Una volta andai a parlare a Pisa a coloro che stavano per affrontare gli scritti.
Feci loro presente – l'ho anche scritto in Volevo fare l'avvocato – che il loro esame non implicava soltanto una verifica della loro preparazione ma da esso dipendeva la riuscita finale dei loro sacrifici e di quelli sostenuti per anni dalla loro famiglia.
Una collega che mi sentì inorridì un poco a questa mia affermazione che probabilmente considerò retorica e forse non tecnica.
Me ne sbattei i coglioni di quello che pensava la mia collega anche perchè, se ogni volta che parlo dovessi badare ai sopraccigli aggrottati di certi colleghi, tacerei da tutta la vita.
Per dirvi – e torno sul seminato – che queste famiglie in cui vivono gli abogados – a causa di un sistema sviante e non meritocratico ma aleatorio come il gioco della roulette – preferiscono ad un certo punto spendere decine di migliaia di euro anzichè continuare ad avere in casa ragazzi frustrati ed avviliti.
Allora, fate una cosa perpiacere, quando parlate degli abogados:sciacquatevi ben bene la bocca e ricordatevi di tutti quelli che sono scesi in meridione ed oggi fanno finta di essere Alan Dershowitz.
SIATE GENTILI.